Il potere dei social media può essere utilizzato anche per scopi benefici. Quale mezzo migliore può esistere per unificare così tante persone sotto la bandiera bianca del bene? L’impatto delle campagne di solidarietà sociale è potenzialmente più alto e arricchisce gli individui e le organizzazioni che le promuovono di elementi non solo materiali. In fondo l’animo umano è buono e soprattutto quando accade qualcosa di catastrofico le emozioni collettive confluiscono verso l’identificazione con chi ha subito il disastro. Un’identificazione che spinge ad agire per alleviare le sofferenze altrui, anche se in piccola maniera e a distanza. L’ultimo caso importante in ordine di tempo a livello globale è stato il terremoto che ha colpito Haiti nel 2010. La grande potenza del web è rimbalzata sotto gli occhi di tutti il giorno dopo quel terribile 12 gennaio. La pagina più aggiornata sull’argomento era quella della Cnn che ha totalizzato 1,4 milioni di visite. La gente ha iniziato a postare contenuti e foto inedite. Nei giorni successivi più di 1500 persone hanno inserito la parola Haiti nel loro status su Facebook, la Croce Rossa ha utilizzato la connessione con i social per rassicurare i parenti dei sopravvissuti. Sono stati proprio i social a innescare la catena di aiuti, fornendo un resoconto puntuale sull’entità dei danni e sulle risorse necessarie. Da allora le occasioni si sono succedute, ultima in ordine di tempo l’emergenza post-terremoto in Emilia per il quale Twitter ha addirittura coniato un hashtag dedicato.

Haiti ha fatto da spartiacque. Da questo momento in poi il social solidale non è più lo stesso. Nascono delle organizzazioni no-profit che utilizzano solo questo mezzo per promuovere azioni solidali. Tre esempi made in Usa. Il primo è il progetto “Charity:Water”, nato con lo scopo di combattere il problema che molti paesi sottosviluppati del mondo devono quotidianamente affrontare riguardo l’emergenza acqua pulita. La campagna mira a raccogliere donazioni di 20 dollari, la cifra che garantisce acqua pulita per una persona per 20 anni. In questa maniera Charity:Water ha salvato 2 milioni 545 persone con 6.185 progetti dedicati coinvolgendo 19 paesi. Il secondo esempio riguarda “Tweet Drive”, sito che aiuta i bambini che hanno vissuto un dramma regalando loro dei giocattoli. Il progetto si sviluppa tramite degli eventi promossi tramite Twitter. Nel 2011 questo progetto ha donato 4.200 giocattoli in 38 eventi, raccogliendo 3 mila dollari in tutto. Infine c’è “Twestival” che invita gli utilizzatori del social ad incontrarsi dal vivo per un evento con uno scopo benefico. Finora Twestival ha supportato 275 progetti (programmi per l’educazione, l’alimentazione, l’inserimento lavorativo, ecc), in 45 paesi, per un totale di 1,75 milioni di dollari raccolti.

Che plus hanno queste campagne per riscuotere questo successo?

  1. Individuano la tematica adeguata che tocchi le corde giuste nell’animo delle persone
  2. Forniscono una prova certa che i fondi raccolti siano stati utilizzati per ottenere risultati concreti
  3. Sfruttano una diffusione virale dei propri items tramite vari social
  4. Sono estremamente chiari nelle intenzioni facendo sentire la gente coinvolta e arricchita dopo aver svolto un’azione di questo tipo

L’università del Nord Carolina ha effettuato uno studio sulla fascia di età disposta maggiormente a donare, scoprendo che l’età media si sta notevolmente abbassando. Se sono ancora gli anziani quelli che donano di più, è vero anche che la cosiddetta “Generazione Y” cioè i nati dopo il 1980 sono diventati più attivi dal punto di vista finanziario ma anche pratico spendendo tempo nel volontariato, nella raccolta fondi, firmando petizioni, iscrivendosi a gruppi social che promuovono iniziative di solidarietà o organizzando eventi. I ventenni assieme ai trentenni e ai quarantenni (la Generazione X) sono più attivi con i mezzi tecnologici, ma anche la popolazione più anziana sta perfezionando l’utilizzo di questi strumenti. Fino al 2010 ammontava ad 1 milione di dollari il computo dei fondi raccolti tramite tecnologia mobile, da Haiti in poi si è arrivati a toccare quota 50 milioni. Che i social network non possano fare anche del bene?


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