Che cosa hanno in comune donne, ebrei, omosessuali, migranti e diversamente abili? Essere i più odiati su Internet. Nel giorno di Halloween, dedicato alla spensieratezza e allo sdoganamento di valori ed eventi negativi come la paura e la morte, analizziamo il fenomeno degli Internet haters che sta prendendo sempre più piede nella società dei social media. Le ricerche parlano chiaro: gli italiani sono haters di professione, e soprattutto si dimostrano essere i più ignoranti e i più spregiudicati del web, accanendosi contro categorie sociali colpevoli di essere accomunate da un retaggio culturale poco felice. Secoli di odio non hanno fatto altro che acuire sentimenti latenti che adesso, proprio attraverso i social, possono esplodere in tutta la loro perversa follia. L’ignoranza, la paura del diverso e del cambiamento scatenano questo tipo di comportamenti che portano esperti del web a esprimere opinioni spassionate che denigrano le categorie sociali più deboli. L’omofobia, la misoginia, la paura dello straniero emergono in tutta la loro forza soprattutto su Facebook e Twitter, provocano indignazione e causano una violenza verbale gratuita e spassionata, commenti spregevoli che spesso non fanno che abbassare il livello della conversazione. I personaggi noti sono il bersaglio principale di questo tipo di commenti, ma anche i comuni mortali protagonisti di eventi di cronaca. La critica diventa mainstream e l’hater può essere anche una persona normale, che però con il tempo e prendendoci gusto ormai sempre più spesso si trasforma in hater di professione, che non fa che riempire la rete di valanghe di insulti e considerazioni sconsiderate. Per le aziende che si avvalgono del social media marketing come strumento di promozione moderare questo fenomeno diventa una questione delicata. Come si fa a non svegliare il can che dorme? E una volta svegliato come si riesce a domarlo? La risposta è complicata e nella gestione di una crisi ormai bisogna fare i conti con gli haters cercando di moderare i toni e non esacerbare gli animi. Odio chiama odio insomma, meglio evitare.


#Social Play